Lo scorso 4 maggio 2019 è stata inaugurata a Palazzo Bonacquisti di Assisi la mostra “Maiolica. Lustri oro e rubino della ceramica dal Rinascimento ad oggi”, che resterà aperta fino al 13 ottobre 2019. Al mondo non c’è museo che non contenga nelle sue collezioni dei preziosi esempi di maioliche a “lustro” italiane. Tra questi citiamo il Metropolitan Museum of Art di New York, il Victoria and Albert Museum diLondra e il Museo del Louvre, il museo parigino da cui provengono alcune delle più importanti opere esposte nella mostra in questione.
Voluta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia e organizzata dalla Fondazione CariPerugia Arte la mostra, a cura dei due esperti Franco Cocchi e Giulio Busti, l’esposizione presenta una selezione di circa 150 opere provenienti da collezioni pubbliche e private conservate non solo in Umbria ma anche in territori limitrofi come Bologna, Firenze, Faenza, Ravenna, Pesaro, Arezzo e Viterbo.
Come sottolineato dal Presidente della Fondazione CariPerugia Arte Giuliano Masciarri, il progetto espositivo si inserisce nell’ambito di un percorso che, in linea con la mission delle due Fondazioni “anche in una fase critica come quella che stiamo vivendo – ha detto Masciarri – intende contribuire alla valorizzazione dell’arte e della cultura, attraverso iniziative di qualità che richiamino appassionati e visitatori contribuendo così alla crescita economica e culturale del nostro territorio”.
L’esposizione, composta da sei sezioni tematiche, ripercorre dalle origini la storia e l’evoluzione della maiolica fino agli ultimi esemplari del seicento, e poi alla ripresa storicista dell’Ottocento quando tornò ad essere oggetto di vasto interesse, fino alle espressioni postmoderne e attuali divenute produzioni di artisti che alla tecnica, ancora oggi difficile e alchemica, uniscono design e creatività.
Arte bella e ingegnosa, ma fallace “che di cento pezzi sei ne vengono buoni”, scriveva Cipriano Piccolpasso intorno al 1560 della maiolica, antico nome del lustro con cui i vasai del Rinascimento riuscirono, con misteriose alchimie, a colorare le ceramiche di riflessi d’oro e di un sanguigno rosso rubino.
La sua provenienza è l’oriente, ma come sia arrivata nelle botteghe italiane è ancora un mistero, ma certamente attraverso la Spagna moresca, pochi riuscirono nell’impresa di produrre la maiolica.
Derutesi ed eugubini ne fecero una sorta di monopolio, benché non mancarono numerosi tentativi in diverse parti d’Italia. Di gran moda fra Quattro e Cinquecento, le maioliche importate dalla Spagna, prima, e quelle di Deruta e di Mastro Giorgio da Gubbio divennero parte dei corredi domestici e degli arredi delle case reali e delle più nobili e importanti famiglie d’Europa.
Le maioliche dorate di Deruta impreziosivano i ritratti di dame e madonne,santi e cavalieri. Quelle di Gubbio coloravano di un rosso, mai visto prima,le illustrazioni dei miti dell’antichità, entrambe cogliendo in pieno lo spirito del tempo così da rappresentare una delle espressioni più diffuse del Rinascimento italiano. Con le novità che apportarono i brillanti colori potremmo scoprire l’evoluzione delle forme, degli stili e delle decorazioni che impreziosiscono vasi, scodelle, brocchette e albarelli famosi per il loro uso farmaceutico e che hanno trasformato in oggetti decorativi manufatti la cui funzione in precedenza era di uso quotidiano.
Ne sono un esempio i piatti da pompa destinati non ad essere messi a tavola ma ad essere esposti, su cui vengono raffigurate immagini sacre e profane come scene di guerra, figurazioni amorose, profili di uomo e di donna, putti, muse, santi, lettere dell’alfabeto e stemmi araldici. La mostra è raccolta nel catalogo realizzato da Fabrizio Fabbri Editore in cui, oltre all’introduzione dei due curatori,alle immagini e alle schede descrittive di ciascuno dei manufatti, sono contenuti i contributi critici di esperti come Marinella Caputo, Carmen Ravanelli Guidotti, Francesco Federico Mancini, Marino Marini, Elisa PaolaSani, Ettore A. Sannipoli, Alberto Satolli, Luca Pesante e Timothy Wilson.